LETTERA FIRMATA DA 500 PSICHIATRI : SOLO DIRITTI E NIENTE DOVERI – LA RISPOSTA FISAM
Al sig. Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella
e p.c.
Alle testate giornalistiche
Agenzie di stampa
Associazioni del settore
Oggetto: Lettera firmata da 500 psichiatri : solo diritti e niente doveri
Mi riferisco ad un articolo dal titolo “L’appello a Mattarella di 500 psichiatri (poco più del 10% degli psichiatri del SSN), dove dichiarano che ‘Basaglia parlerebbe di un nuovo manicomio‘ pubblicato ne „Il Fatto Quotidiano“. Questo il link:
Questa minoranza di psichiatri, a fronte del 90% che si impegna giornalmente, con professionalità a favore dei malati mentali con dedizione ed empatia, lamentano un „eccesso di responsabilità“, civile e penale, citando alcune storie giudiziarie che lasciano noi familiari stupiti e perplessi.
Questa minoranza sembra non volersi assumere responsabilità che norme legislative italiane codificano per tutte le professioni, nonostante abbiano studiato nel percorso universitario e abbiano partecipato a concorsi e firmato i contratti di assunzione dove i riferimenti legislativi sono specificati e la stessa legislazione specifica che la legge non ammette l’ignoranza (ignorantia iuris non excusat)
Trova sconcerto apprendere che uno psichiatra non si ritenga responsabile per aver consentito il rilascio di un porto d’armi a un malato mentale grave, il quale ha poi commesso un omicidio e si è suicidato. Non si capisce come non possa essere responsabile il mancato controllo di un paziente gravemente malato e inconsapevole della sua malattia, che non venga monitorato nell’assunzione della sua terapia farmacologica, lasciato ai sui deliri e alle sue allucinazioni che lo hanno portato a commettere atti criminosi.
Tempo fa a Trieste, il caso di un extracomunitario risultato malato di mente che ha ucciso due poliziotti è balzato all’attenzione delle cronache. Sembra che nel corso della notte la madre abbia segnalato il caso ai servizi psichiatrici locali che non sono intervenuti; portato in questura questo malato ha ucciso due agenti. Uno psichiatra intervistato dichiarò che non si trattava di un malato mentale, tuttavia le sentenze (tenendo conto della relazione tecnica di altro psichiatra) lo hanno poi dichiarato „incapace di intendere e volere“ (= malato mentale grave).
Sempre questa minoranza chiede più diritti, ma meno doveri, dimenticando che ogni professione ha diritti e doveri da rispettare. Siamo certi che questa minoranza di psichiatri siano adeguati alla loro professione? Facciamo un esempio; se un ingegnere progetta un ponte che viene costruito, ma poi lo stesso collassa e cade di chi è la colpa? Dell’ingegnere, ma se l’ingegnere dice di non essere responsabile, perché la colpa è del cemento…
Basaglia seppe assumersi le responsabiltà: aprì le porte del manicomio dove lavorava, grandioso !?!
Tramite il nostro sito “Sospsiche” riceviamo quotidianamente richieste di aiuto da parte di familiari di persone malate mentali gravi, inconsapevoli della loro malattia, che non sanno a chi rivolgersi e le famiglie disperate e impaurite, non sanno come gestire il malato.
Da anni, ma ancor più oggi, la psichiatria è in sofferenza per l’annoso problema delle risorse; la maggioranza delle regioni destina meno del 3% del budget sanitario, quando a livello nazionale si era programmato un 5% di budget e in Europa ci sono nazioni che destinano anche più del 10%.
Poter contare su più risorse umane ed economiche permetterebbe ai servizi psichiatrici di poter finalmente lavorare con efficacia, poter fare prevenzione, far sì che i Centro di Salute Mentale siano aperti ed accoglienti e capaci di dare risposta alle richieste di aiuto che attualmente non vengono esaudite.
Purtroppo per questo totale o parziale abbandono di reale assistenza, malati e famiglie pagano un prezzo elevatissimo.
A Lei, signor Presidente della Repubblica, mi appello nella speranza che ci sia un forte richiamo alla politica per rilanciare il finanziamento della sanità psichiatrica, per consentire agli psichiatri professionalmente impegnati, di ritrovare motivazione e gratificazione nel loro indispensabile lavoro.
Il presidente pro tempore
Cosimo Lo Presti
FISAM Unione Nazionale Associazioni Italiane per la Salute Mentale – o.n.l.u.s.
Sede Legale: Via San Domenico, 28 – 10122 Torino C.F. 97170290155
Qui il Testo del Link che ha colpito una rivoluzione ai membi Psicoanalisti.
Nel caso della psichiatria la situazione diventa ancora più drammatica, perché alla sofferenza da “ritiro dello Stato” si aggiungono gli effetti di interventi legislativi e di sentenze conseguenti. Primo effetto: la fuga dei medici psichiatri dalla sanità pubblica. Un esempio: “[…] anche fuori dell’ipotesi di ricovero coatto lo psichiatra è titolare di una posizione di garanzia, sullo stesso gravando doveri di protezione e di sorveglianza del paziente in relazione al pericolo di condotte autolesive” (Cassazione Penale IV, n. 48292/08).
In pratica il matto torna a essere rappresentato come un pericolo per la società, un soggetto che deve essere isolato e contenuto per impedirgli di nuocere ai “normali”. Lo psichiatra che lo ha in carico può essere chiamato in causa davanti alla legge quando il paziente commetta qualche reato connesso con la sua condizione.
E’ l’applicazione allo specifico dell’art. 40 del Codice Penale: “(Rapporto di causalità) […]. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Così il paziente è equiparato ad una fonte di pericolo, lo psichiatra ad un garante che dovrebbe neutralizzarne gli effetti lesivi, proteggendolo da comportamenti pregiudizievoli per se stesso.
Qualche storia: uno psichiatra dispone il trasferimento in autoambulanza in una struttura più idonea di un paziente reduce da una crisi di schizofrenia. Durante il trasporto il malato aggredisce l’autista e il mezzo finisce fuori strada. Medico condannato per le lesioni dell’autista perché, essendo prevedibile un’ulteriore crisi del paziente, non aveva predisposto misure adeguate (C.P. IV 6380/17). Lo psichiatra che prescrive una terapia farmacologica a un paziente che non la segue, può essere chiamato in causa come corresponsabile dei suoi atti criminosi. E così via.
Primario e medici di un ospedale pubblico condannati per omicidio colposo: un paziente che si era ricoverato volontariamente con divieto di uscita ha detto all’infermiera che sarebbe andato a prendere un caffè al distributore del piano superiore. Lì si è suicidato gettandosi da una finestra (C.p. IV 48292/08). Condannati per concorso colposo in omicidio dei medici che avevano permesso il rilascio del porto d’armi ad un paziente affetto da gravi problemi di ordine psichico. Con una rivoltella aveva colpito quattro passanti, ucciso la propria convivente e una condomina per poi suicidarsi.
L’appello a Mattarella di 500 psichiatri sulla sanità: ‘Basaglia parlerebbe di un nuovo manicomio’
A un anno dall’omicidio della psichiatra pisana Barbara Capovani per mano di un suo ex paziente, 503 psichiatri e professionisti della salute mentale sottoscrivono le riflessioni di un giovane psichiatra, Stefano Naim, “Basaglia si rivolta nella tomba”, e le trasformano in un appassionato appello a Mattarella.
Scrivono: “In queste settimane si è celebrato il centenario di Franco Basaglia, psichiatra e intellettuale, ispiratore di quella legge che, mezzo secolo fa, ha cambiato per sempre nel nostro Paese l’approccio alla malattia mentale, portandoci all’avanguardia del mondo. Ma cosa penserebbe Basaglia della situazione attuale dell’assistenza psichiatrica italiana? I servizi di salute mentale hanno un’importanza cruciale […]. L’Italia non può permettersi di assistere impotente alla loro regressione, processo in atto da anni e vicino a un punto di non ritorno. E noi, operatori impegnati in prima linea, non possiamo permetterci di tacere”.
Il “ritiro” dello Stato – trent’anni di tagli, privatizzazioni e disimpegno del pubblico prima dall’economia, poi dai servizi, la sanità in testa – genera una società più feroce, diseguale, nevrotica. Il disagio colpisce anche fasce di popolazione non necessariamente “povere”, coinvolge anche i professionisti come i medici stessi. Specie quelli che non hanno sposato la logica privatistica e scelgono di restare in un servizio pubblico sempre più sotto assedio e in difficoltà nel fronteggiare le richieste degli utenti.
Nel caso della psichiatria la situazione diventa ancora più drammatica, perché alla sofferenza da “ritiro dello Stato” si aggiungono gli effetti di interventi legislativi e di sentenze conseguenti. Primo effetto: la fuga dei medici psichiatri dalla sanità pubblica. Un esempio: “[…] anche fuori dell’ipotesi di ricovero coatto lo psichiatra è titolare di una posizione di garanzia, sullo stesso gravando doveri di protezione e di sorveglianza del paziente in relazione al pericolo di condotte autolesive” (Cassazione Penale IV, n. 48292/08).
In pratica il matto torna a essere rappresentato come un pericolo per la società, un soggetto che deve essere isolato e contenuto per impedirgli di nuocere ai “normali”. Lo psichiatra che lo ha in carico può essere chiamato in causa davanti alla legge quando il paziente commetta qualche reato connesso con la sua condizione.
E’ l’applicazione allo specifico dell’art. 40 del Codice Penale: “(Rapporto di causalità) […]. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Così il paziente è equiparato ad una fonte di pericolo, lo psichiatra ad un garante che dovrebbe neutralizzarne gli effetti lesivi, proteggendolo da comportamenti pregiudizievoli per se stesso.
Qualche storia: uno psichiatra dispone il trasferimento in autoambulanza in una struttura più idonea di un paziente reduce da una crisi di schizofrenia. Durante il trasporto il malato aggredisce l’autista e il mezzo finisce fuori strada. Medico condannato per le lesioni dell’autista perché, essendo prevedibile un’ulteriore crisi del paziente, non aveva predisposto misure adeguate (C.P. IV 6380/17). Lo psichiatra che prescrive una terapia farmacologica a un paziente che non la segue, può essere chiamato in causa come corresponsabile dei suoi atti criminosi. E così via.
Primario e medici di un ospedale pubblico condannati per omicidio colposo: un paziente che si era ricoverato volontariamente con divieto di uscita ha detto all’infermiera che sarebbe andato a prendere un caffè al distributore del piano superiore. Lì si è suicidato gettandosi da una finestra (C.p. IV 48292/08). Condannati per concorso colposo in omicidio dei medici che avevano permesso il rilascio del porto d’armi ad un paziente affetto da gravi problemi di ordine psichico. Con una rivoltella aveva colpito quattro passanti, ucciso la propria convivente e una condomina per poi suicidarsi.
Uno psichiatra può essere accusato di abbandono, anche quando il malato scappa dalla struttura in cui si trovava e commette reati e/o suicidio (C.P. IV 35814/15), perfino quando si tratta di struttura aperta che deve contemperare il rispetto della libertà individuale con la protezione della persona. Può anche essere condannato per minacce quando interviene in una condizione di emergenza e mette il paziente di fronte all’alternativa fra Tso e assunzione volontaria di calmanti.
Le storie giudiziarie sono tantissime, quelle cliniche ancora di più, ma il disagio cresce. Così tanto da provocare l’abbandono di molti psichiatri. “Troppe aggressioni fisiche e denunce, mi dimetto. Così non è possibile lavorare. Il noto medico lascia la professione. Nel giro di un anno solo a Genova tre avvisi di garanzia a brave colleghe”, così il noto psichiatra genovese Ciliberti nell’annunciare l’abbandono del servizio pubblico. Meno di un mese fa: “Dottoressa dell’Asp di Messina aggredita da un paziente: ha perso due denti”. Basta scorrere le segnalazioni e gli interventi su Psichiatria Reale, sempre ben documentati da uno degli animatori, lo specialista messinese Antonio Milici, per tastare il malessere e la rabbia che circola nel mondo della psichiatria pubblica e reclama attenzione e leggi più in linea con il resto d’Europa.
Così torno al grido di dolore di Naim e dei suoi colleghi: “Basaglia parlerebbe […] di un nuovo manicomio, fatto di disinvestimento e disinteresse. Spiegherebbe alla gente perché se va in Pronto Soccorso, o in un Centro di Salute Mentale, trova un giovane neanche specializzato […] preso una tantum, a “gettone” […]. Spiegherebbe che questo sistema produce malattia. E fa carne da macello di chi si oppone al suo funzionamento malato. […] Chissà cosa farebbe, lui, per contrastare questa desertificazione. Forse denuncerebbe. Direbbe “mi non firmo”. Qualcosa del genere. Io, che in confronto a lui non sono nessuno ma ho capito che o mi ammalo o rinuncio, intanto denuncio. Forse gli farebbe piacere. Lo spero”

